“Sono riuscito a fare della mia vita una finzione divertente.”
Salottiero e raffinato, dandy ed esteta, snob e cockney, Cecil Beaton, divenuto celebre come fotografo, disegnatore e costumista, condusse un’esistenza glamour ancor prima che questa parola fosse inventata, bramoso di protagonismo, smaniava per immortalare i simulacri dell’alta moda e i profili di sangue blu.
Nato a Londra nel 1904, figlio di un facoltoso commerciante di legname, sognava di diventare un cantante.
I suoi atteggiamenti effemminati celavano un’omosessualità repressa che, ben lungi dal manifestare, lo portarono ad intessere relazioni amorose improbabili con celebrità dalla sessualità ambigua come la divina Greta Garbo.
Eclettico e decadente, Beaton fu l’interprete di un mondo di ricchi e di facoltosi, il suo obiettivo, audace e irriverente, setacciò il jetset internazionale a caccia di icone da ritrarre: divi del cinema hoollywoodiano, come Marilyn Monroe e Katherine Hepburn, artisti come Salvador Dalì e Pablo Picasso, scrittori come Truman Capote e Jean Cocteau, cantanti come Mick Jagger, e sportivi come Jo Namuth.
Nelle sue foto, Beaton, riversò tutto il suo amore per l’opulenza ed il lusso creando accostamenti inconsueti che fondevano il mondo scenografico alla realtà quotidiana.
Questa sua particolare vocazione alla grandiosità, trovò perfetta espressione, più che nella fotografia, nella sua attività di costumista e di scenografo che gli avvalse, per ben tre volte, la vittoria agli Oscar.
Indimenticabili i suoi costumi per Gigi e My Fair Lady dove riuscì, in modo sublime, a conciliare leggerezza di concezione con lo sfarzo decorativo.
Con Audrey Hepburn si scatenò una magia e una sintonia particolare: la sofisticata attrice riuscì centrare il cuore del vanaglorioso Cecil con la sua classe e la sua nobile eleganza.
La ritrasse più volte e disegnò gli abiti di Eliza Doolittle, la fioraia analfabeta di My Fair Lady; Audrey fu anche tra le prime persone che ringraziò quando la regina lo onorò con il titolo di Sir.
In generale, però, Beaton era dotato di una lingua affilata dalla battuta velenosa, sempre pronta a scagliarsi contro quel mondo luccicante che intendeva mitizzare.
Non risparmiava a nessuno le sue critiche, frutto di una reazione amara, e a volte violenta, nei confronti dei limiti e delle debolezze umane.
La stessa famiglia Windsor fu bersaglio di sarcastici commenti circa la carenza di buon gusto e la mancanza di avvenenza della principessa Anna.
Paragonava Katherine Hepburn ad uno “stivale rinsecchito”, considerava Peggy Guggenheim “orribile e sciatta”, non esitava a bollare Virginia Woolf come “un suino”, definiva Leonard Bernstein “disgustoso e repellente”, riteneva del tutto “volgari” Elisabeth Taylor e Richar Burton a cui la stampa dell’epoca dedicava le sue pagine.
Giudizi veementi, talvolta sprezzanti, che trovavano, però, una loro giustificazione nella delusione provata da Beaton di fronte alla sfavillante realtà dei ricchi e famosi dove, il più delle volte, trionfava il cattivo gusto e la volgarità.
Beaton riversò così nella sua arte il sogno di un mondo sfarzoso e sublime, abbellendo la vacuità e la frivolezza di ciò che vedeva attorno a sé.
“Cerca di osare, essere differente e, soprattutto, di non essere mai pratico. Lotta contro ciò che è ordinario. Le routine avranno anche i loro fini, ma sono anche le nemiche assolute della grande arte”, una sorta di mantra questo, che Cecil intese mettere in pratica sia con il suo stile di vita che con la sua opera.
In questo modo Beaton costruì attorno a sé una sorta di magnifica illusione, un castello di carta fatto di scatti, disegni, costumi, un arcadia mitico e rassicurante dove, infine, poteva trovare rifugio alla mediocrità del reale.
“Forse il secondo peggior crimine del mondo è la noia; poiché il primo è essere noiosi.”
E dalla noia Beaton si tenne sempre ben lontano facendo della sua vita e della sua arte una perenne celebrazione ad una magnificenza degna della corte di Re Sole.
Quando si affacciarono all’orizzonte le nuove leve della fotografia, quali Richard Avedon e Irving Penn, Beaton rimase per un po’ sconcertato tanto che arrivò a scrivere nel Journal: “non ne posso più del mio solito vomito. Foto di giovani modelle che sopravvivono solo finché restano impersonali o di vecchie e ricche arpie che posano come se avessero in bocca un panetto di burro che non si scioglie.”
Non era più l’unico nella scena internazionale, ma la sua carriera non era ancora finita.
Dopo l’alta moda, le celebrità, gli Oscar, Beaton venne in contatto con il mondo pop, una vera e propria rivoluzione per lui da sempre abituato a realtà blasonate e chic.
Ma anche qui il suo obiettivo riuscì a catturare attimi unici ed indimenticabili: Keith Richards a bordo piscina, i ritratti di Mick Jagger e la grande star del momento, Andy Warhol, l’eccentrica queer con cui Beaton instaurò un rapporto di reciproca simpatia.
Una scintilla era scattata tra il collezionista di divi e colui che, figlio di una nuova generazione, era intervenuto a dissacrare con le immagini quelli stessi divi che Beaton aveva tentato di sminuire solo a parole.
“Un artista è interessante quando ha una personalità forte a sufficienza per essere scandaloso, ma riesce nello stesso tempo ad essere accettato dagli elementi più conservatori della società.”
L'articolo Scatti d’artista: Cecil Beaton sembra essere il primo su barbarainwonderlart © Barbara Meletto.